venerdì 23 marzo 2012

La guida Sbagliata /5


“Buonasera”. 
“Ciao”. 
“Cosa desidera?” 
“Il solito”. 
“Il solito cosa?”. 
“Un negroni sbagliato”. 
Spumante brut, Martini Rosso, Bitter Campari. 
“Prego”. 
“La rondella d'arancia?” 
“Prego”. 
“La cannuccia?” 
“Prego”. 
“Grazie”. 

“Mi scusi stiamo per chiudere”. 
“Me lo dici ora?”. 
“Stiamo per chiudere ora”. 
“Sì ma non vedi che non sono neanche a metà del cocktail?”. 
Straccio sul bancone, spazzola alla macchinetta del caffè, bottiglie in frigo. 

“Mi dai due olive?” 
“Prego”. 
“Due patatine”. 
“Prego”. 
“Hai mica due sottaceti?” 
“No”. 

“Non vorrei importunarla, ma siamo davvero in chiusura”. 
“Sto aspettando un amico, il Franco”. 
“La pregherei di aspettarlo fuori”. 
“Non vedi che ho un goccio di cocktail nel bicchiere?” 
“Non mi interessa, paghi e te ne vai”. 
“No”. 
“Ti prendo a sberle ora”. 
“Me ne vado ma non pago” 
“No paghi e te ne vai sennò ti prendo anche a calci”. 
“Ti denuncio”. 
Giro del bancone, presa per il bavero e uscita di scena. 
“Il bicchiere non lo vuoi?” 
“Dammi qua e non farti più vedere”. 


Il dialogo è il sottinteso di un ripetuto scambio di sguardi avvenuto nel bar. 
Accanto al locale, in via Terraggio, c'è una bellissima libreria Einaudi che vende nuovo e usato.


Illustrazione di Silvia Marinelli
Bar Sant'Ambrogio
via Terraggio 23
Zona Magenta
Prezzo Sbagliato 5 euro

sabato 17 marzo 2012

Sentire, ascoltare /32

Se sia la città la rappresentazione estetica del discorso pubblico dei suoi abitanti o se questi ultimi siano l'espressione viva di un'estetica urbana che sopravvive ai tempi e ai costumi non è cosa semplice da chiarire. Milano, come ben poche città italiane, affastella uno sopra l'altro, uno accanto all'altro, modelli e credenze distanti. Ne risulta un panorama urbano complesso, un'opera d'arte aperta a mai definitive interpretazioni, un dipinto macchiaiolo che non dimentica il riflesso del cielo su pietra e mattoni. Così a dire pare che la città, come l'uomo, sia un organismo del quale non si possa cogliere, mai pienamente, il mistero del suo agire. Respira, pensa, si muove. Non sa il perché di ogni cosa e non smette di domandarcelo. 

martedì 13 marzo 2012

Sentire, ascoltare /31

Di tanto in tanto, per necessità, coerenza e bontà del racconto, il blog apre alla questione della sordità, in modo per nulla metaforico. 
Chi ha il dono della monoauricolarità teme i colpi di testa, il cambiamento di pressione, i traumi cranici, la prescrizione di antibiotici ototossici, i concerti musicali in capannoni con acustica scadente, il Dolby Surround al cinema e il tentativo di un amico di dirti chissà cosa affinché tu riferisca chissà cosa -appunto- all'interlocutore telefonico con cui stai discutendo di cose, chissà quali, le più disparate. Ma più di tutto l'orecchio muto teme la visita dall'otorinolaringoiatra. 
Non è un medico. È un mostro tentacolare che ha il potere di ingoiarti, uno scioglilingua, un semideo greco nato da una vergine dell'isola del Timpano inseminata dal cerume di Zeus, l'oracolo dal quale attendi un responso per nulla sibillino, la voce che potresti non sentire più. 
Ieri, a distanza di un decennio, questa potente entità sciamanica mi ha visitato e ha proferito parole sagge e rassicuranti che sono costate un occhio della testa. 

giovedì 1 marzo 2012

Sentire, ascoltare /30

La metropoli e il colore del cielo sono due assi di un piano cartesiano particolare, che misura le possibilità economiche dei cittadini. Poniamo, per semplificare, tre categorie: ceto basso, medio e alto. 

Il ceto basso è costituito da persone che hanno mansioni umili e che si svegliano presto per preparare il mondo agli altri ceti. Si alzano che ancora la luna è in cielo e vedono schiarire, dai finestrini dei tram, dietro le sagome dei palazzi, l'orizzonte. Assistono all'alba, si svegliano ai tempi della natura, scoprono il rosa diffuso del primo sole o patiscono il freddo acuto dell'inverno, sentono i suoni della città, ascoltano quel po' di fauna urbana che resiste al cemento. Il ceto basso si guarda in faccia, uno ad uno, perché gli spazi sono ancora ampi e i passanti si distinguono. 

Il ceto medio si sveglia che la giornata ha già preso, bene o male, il suo corso. Il cielo è azzurro o grigio, ancora qualche sfumatura, e così sarà fino al tramonto. Le code sono lunghe e i metrò, i tram, le arterie della città sono colme. Non si distinguono i suoni né i volti perché non c'è spazio. Esiste la folla. L'anonima e laboriosa folla che si compatta nei luoghi pubblici per un paio d'ore e si disgrega negli uffici, nelle botteghe, negli esercizi. 

Il ceto alto esce di casa a cose fatte. Tutti sono già al proprio posto, nella società. Il cielo è quello che è, senza mistero di nascita e di morte, di luce e di buio. Ogni cosa è sveglia, è operosa, nel vivo delle forze. Non si fa in tempo a ricambiare o a farsi ricambiare uno sguardo.

Il ceto alto entra nei bar, a bere un cappuccino e a mangiare un cornetto, quasi a metà mattina e lì incontra il ceto basso che sta sorseggiando un caffè o un grappino per la prima pausa della giornata. Il ceto alto, in forze, si reca in ufficio e ci resta fino a sera. Alla pausa pranzo aspetta che un cameriere porti a domicilio una pietanza, che arriva mentre il ceto medio stacca dalle sue mansioni per andare a mangiare in un bar, in una trattoria. Il ceto medio, nel percorso tra l'ufficio e la meta prescelta, osserva il ceto basso che lavora, già sazio, sui ponteggi, nelle strade e nelle corti dei palazzi. 

Ci sono naturalmente altre categorie e altre circostanze. In ogni caso il cielo non va sottovalutato.