mercoledì 31 ottobre 2012

La guida Sbagliata /8


Il Negroni Sbagliato è una droga liquida che fa slittare il flusso inconscio delle parole oltre le capacità motorie di lingua e mandibola.

Le rondelle di arancia sono una sottile citazione a quei limoni che sentivamo chiedere, negli anni Novanta, nei bar di stazione, da giovani eroinomani; le cannucce corte simulano pallide banconote per nasi d'oro di una certa polverosa borghesia; lo sciogliersi del ghiaccio ammicca a zollette bohèmienne infiammate su pontarlier d'assenzio e sciolte in colini d'argento, liquide nel liquido; quel che rimane è un rosso venereo, infetto.


Illustrazione di Silvia Marinelli


Il bar Piccolo, simile a un chiostro di edicola, senza posti a sedere né interni, tiene tutti appesi al bicchiere, sul piazzale del teatro; spaccia cocktail a prezzi di favore. E poco a poco, storditi, gli avventori si adagiano sugli spalti di quelle panche circolari che fanno il verso al teatro antistante e a quelli della Grecia antica.

Ognuno si fa di quel che vuole; la folla, coreuti della modernità, vocia con costanza. Il silenzio attende che bocche larghe si attacchino a cannucce secche per drenare alcol nelle vene. Cuore, lingua, mandibola. Cuore, lingua, mandibola. Cuore, lingua, mandibola.


Bar Piccolo 
Largo Antonio Greppi 
Zona Brera 
Prezzo Sbagliato 3,5 euro

domenica 28 ottobre 2012

Sentire, ascoltare /65

Le conversazioni dei tempi moderni, come un ronzio di fondo che confonde i cervelli delle nuove generazioni, si spingono, sempre più, con sguardi illuminati da una certa luce della ragione, verso un'equazione che pare non abbia alcuna incognita irrisolta: meno lavoro, più tempo. 

Tali matematici erano pochi e ora sono un poco di più. Mi chiedo dove abbiano studiato perché scuole che insegnano il tempo non ne ho frequentate, mentre scuole che inculcano, con insistenza, i significati del lavoro mi hanno imposto di frequentarle da quando ero bambino. 

Ora, per molti, questa prima inedita esperienza del tempo pare suggerire che serva per piangere. E prima di scrollare di dosso ogni consuetudine sociale, di accantonare la vergogna di dire che non lavoro, di accettare un impiego umile, di conoscere la solitudine dei pomeriggi a casa a navigare su tutti gli infojobs esistenti, di imparare a farcela da soli, di accettare quello che si ha, di apprezzare le passeggiate urbane senza meta, prima di tutto questo il nostro tempo sarà passato e una nuova rivoluzione copernicana avrà smentito le equazioni che abbiamo cercato di capire: meno lavoro, più tempo.

domenica 21 ottobre 2012

Sentire, ascoltare /64

Simile a erbacce che bucano la strada, distanziate una dall'altra dal cemento crepato, verdi e tese verso l'alto, oppure calpestate dai passanti e recise dai netturbini, talvolta accompagnate da solitari fiori gialli, l'uomo in città si inerpica nei luoghi di passaggio. 

Il tempo di riflettere scorre negli snodi urbani dove, costretti a stare, più volte al giorno, tra i poli delle attività quotidiane, viviamo soli. Si pensa a sé tra un registratore di cassa e una lunga coda di acquirenti; si specchia un pensiero nei viandanti incrociati al semaforo pedonale; si sciolgono, nelle pagine di un saggio, i rompicapo delle proprie relazioni; si legge il labiale, oltre il finestrone di un bus, di due amici seduti ad una panchina. 

L'esistenza arrampica dove può e la città coltiva solitudini a cui l'umanità -Tokyo come Milano, Los Angeles come Istanbul, Londra come Pechino- si aggrappa. In questo, e non in altro, siamo vicini.

venerdì 19 ottobre 2012

Sentire, ascoltare /63


Voltato l'angolo, dopo la T di tabacchi e la vetrina zigrinata di un solarium, ho adocchiato quattro persone: tonde, come quei fiaschi di vino rivestiti in paglia che non si vedono più sulle tavole, baffi a spazzola ben curati, neri, stretti sotto le nari e larghi sopra il labbro superiore, di altezze e stazze differenti eppur molto simili, camicie color panna e pantaloni grigi, stavano, ognuna con propria posa, davanti al portone di un palazzo in bugnato.

Oltre una lavanderia automatica, in direzione dei quattro uomini, ho orecchiato -prima vociare poi parole chiare- la loro discussione, in tre lingue -italiano, spagnolo e inglese: parlavano di beghe condominiali.

Ho proseguito, affiancati e circumnavigati i queruli grassoni, lasciandoli alle spalle -chiacchiericcio fievole, sino a confondersi coi rumori della città. 

Il quartetto era simile a un'illustrazione di un libro per bambini, della mia infanzia, in cui una banda di musicisti messicani, con le gote rosse e il sombrero, era intenta a suonare per una coppia di topolini.

In qualche modo le immagini del panorama urbano, persone e cose, pare siano riflessi di luoghi lontani. Un crocchio d'uomini buca la realtà per richiamarne un'altra e non si sa mai, quando si passeggia in città, se siano, le strade, itinerari in avanti o discese verso il proprio passato, continui rimandi ad altro.

martedì 16 ottobre 2012

Sentire, ascoltare /62

Quasi fosse l'interpretazione di un sogno o un piano sequenza di un film di Ingmar Bergman, ieri mattina, ad una fermata sconosciuta -senza pensilina, orari e banchina rialzata-, lungo le rotaie, simili a un carrello di un set cinematografico, ho aspettato che il tram si avvicinasse. 

Poco a poco, all'interno dell'abitacolo, somigliante per geometria e luce a un'edicola votiva o a un trittico su tavola di legno, nel primo freddo stagionale, con un riflesso di luce sui vetri, tra lo sferragliare delle rotaie in frenata, ho afferrato nello sguardo la figura del conducente. 

Veste nera, non certo d'ordinanza, cappello come un drappo pesante sulla testa a scendere lungo le spalle, fronte ampia senza ombra di capelli, volto magro d'eremita, barba lunga e stretta protesa in avanti, non folta ma nutrita, crespa con alcuni peli bianchi, occhi neri, il tranviere pareva l'icona di un santo. 

Arrestato il tram, spalancate le porte in legno, battenti a fisarmonica contro gli stipiti di ferro, il profilo severo del cenobita patentato mi ha spinto sul convoglio deserto. Ho preso posto sul sedile, legno da cassa da morto, e ho atteso che mi portasse a destinazione. 

Per tutto il tragitto ho meditato, passando in rassegna i fatti della vita.
Sceso, senza voltarmi, sono entrato in un bar e ho chiesto un caffè d'orzo in tazza piccola. Fuori ho acceso una sigaretta e con la prima boccata ho espiato tutto.

domenica 14 ottobre 2012

Sentire, ascoltare /61

La città, di questi tempi, nonostante lo skyline, le giornate senza auto, il festival che si terrà tra alcuni mesi, le agevolazioni, le pubblicità di sconto, il concorso, le start up, l'orto pubblico, i divieti per un vivere più civile, il nobel, i vernissage, l'aperitivo, il campionato di calcio, i corsi di pilates, Marte, i quotidiani, il cinema, i social, il couchsurfing, le elezioni, gli scandali, instangram, il 99%, le rivoluzioni, i tecnici, i supermercati 24su24, i cinesi, le coppie, la mostra temporanea, le bici, gli ottuagenari, l'autunno, le alluvioni, le emergenze, la solidarietà, gli sms per le donazioni, le statistiche, il multietnico, il bosone e le diete Dukan.

Nonostante tutto, di questi tempi - forse è complice il cielo -, le città sono sciupate, un poco avvilite, tormentate dai pensieri; somigliano a se stesse così come sono immortalate nelle foto che i cittadini scattarono loro trentanni fa, quando erano più vecchie. Perché le città, in linea di massima, non sono come gli uomini, che invecchiano col tempo; loro, col tempo, diventano giovani. 

martedì 9 ottobre 2012

Sentire, ascoltare /60

Mentre attraverso la strada, sulle strisce pedonali, per andare al supermercato a comprare un pacco di pasta e una latta di passata, a qualche decina di metri da me un uomo brizzolato in canotta è intento a segnare l'ultima nota di uno spartito che lo renderà celebre, un altro, con la mano molle e la spuma tra i capelli, prende una busta piena di contanti in cambio di un permesso edile e la nasconde tra la cintola dei pantaloni e la pancia, una donna ha appena spogliato un avvocato con in capo una chierica grigiastra e gli sale sopra per pisciargli in bocca, un bambino biondo e riccio chiede al padre cos'è internet, un prete pelato ascolta, nel confessionale, attraverso la grata, l'ammissione di omicidio di una penitente con la treccia bruna, un ingegnere un po' stempiato ha concluso un nuovo modellino per il trasporto di gas propano liquido. 

Nonostante riesca ad immaginare queste eventualità, esse mi sfuggono; non riesco a cogliere la simultaneità delle cose umane; e il mio stare in città si limita, quando osservo la gente, a una serie di congetture -di azioni in potenza- che, però, non si realizzano, non si vedono. 

I volti di chi incrocio per le mie strade non combaciano mai completamente con il compositore, il corrotto, il perverso, l'innocente, l'omicida, l'inventore. Eppure sono tutti lì, ognuno alle prese con la propria esistenza.

Sentire, ascoltare /59


Le città sono simili a frattali: oggetti geometrici dotati di omotetia interna. Le forme si ripetono su scale diverse e i corpi si specchiano l'uno nell'altro in un gioco di auto similarità.

Gli elementi del frattale urbano sono le circoscrizioni, i quartieri, gli isolati, i palazzi, gli appartamenti e le stanze. Ciascun luogo simile all’altro, scoperchiati i tetti e osservata la città dall’alto, si scopre una geometria che ha qualcosa di ossessivo e che, però, è stata tracciata a partire da un modello architettonico desiderato, voluto, necessario.

Perché il frattale sia tale, poi, è necessario che tutte le sue parti -dalla stanza alla circoscrizione-contengano, simultaneamente, la nostra presenza; l’omotetia interna resiste se gli oggetti e le forme si ripetono ad ogni scala.

In quest’ottica, come se fossimo attori di una mimesi collettiva, tendiamo a cercare la nostra replica oltre i muri dei nostri appartamenti; tramite adiacenze parietali, attendiamo segni che certifichino la nostra presenza -identità e appartenenza- altrove, oltre il luogo in cui ci troviamo. 

Steso sul divano, nel silenzio di casa, attraverso la parete, sento un bambino suonare il flauto dolce; dall'altra, più lontana, filtra il gracchiare di una tv accesa; dal soffitto arriva l'eco di una lite; dal pavimento sale lo scroscio dell'acqua di un rubinetto.

domenica 7 ottobre 2012

Aforismi, neologismi e bestialità /28

Il confessore chiede al fedele di elencare i propri peccati; il medico di cura elenca al paziente i peccati che ha commesso.

lunedì 1 ottobre 2012

Sentire, ascoltare /58

Pare, in qualche modo, la conquista del west. 

Poco fa, ad un incrocio, nell'ora in cui le strade sono ingorghi, ho sorpreso un uomo: sporco, con sandali Birkenstock e occhi neri neri, latore di un'eleganza esotica, da deserto afghano, elemosinava. 
Volto scuro, dita appena accennate oltre l'ampia manica di un consunto cappotto cammello, l'ho sorpreso pigiare il bottone del semaforo per la chiamata pedonale. 

Gli autisti, come cristiani all'edicola di una piccola via crucis, costretti al rosso del segnale di circolazione stradale, azionavano la folle per un'offerta in moneta: finestrino per finestrino, il questuante esigeva l'obolo per astuzia e sofferenza dimostrate. 

Simile alla conquista del west, ho pensato che l'incrocio frequentato da quell'uomo mediorientale, nel centro di una turba urbana, rappresentasse per lui, miseramente, il pezzo di terra ottenuto dall'americano in esplorazione: le strade come i fiumi, le auto come le miniere, il semaforo come il vessillo della vittoria.